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Pubblico impiego – Camere di Commercio – Licenziamento dirigente

Cassazione, sez. lavoro, 4.12.2015, n. 24731 (caso patrocinato da L. Righi e I. Di Passio)
Pubblico impiego – Camere di Commercio – Licenziamento dirigente
Cassazione, sez. lavoro, 4.12.2015, n. 24731 (caso patrocinato da L. Righi e I. Di Passio) 

A

“Anche nell’ordinamento delle Camere di Commercio si applica la disciplina del D.lgs. n. 29/1993, onde il licenziamento disciplinare del dirigente non può essere disposto con deliberazione dell’organo politico (nel caso la Giunta Camerale), cui spettano poteri di indirizzo e non di pura amministrazione, con conseguente diritto del dipendente – ove non possa essere reintegrato in servizio per l’intervenuto raggiungimento dell’età di pensionamento nelle more del giudizio – all’integrale risarcimento del danno subito”


Corte di Cassazione, sez. lavoro, 29.9-4.12.2015, n. 24731 (caso patrocinato da L. Righi e I. Di Passio)

Il licenziamento del dirigente pubblico non può essere disposto da un organo cui spettano poteri di indirizzo e non di pura gestione. Ove ciò accada, il licenziamento è irrimediabilmente nullo, a prescindere dall’esame delle motivazioni con cui è stato giustificato. Il principio sancito dalla Suprema Corte nella sentenza in epigrafe, laddove costituisce applicazione della regola della necessaria distinzione tra funzioni di indirizzo politico e funzioni di gestione che costituisce uno dei perni della disciplina in materia di organizzazione amministrativa a partire dalle riforme degli Anni Novanta, può apparire scontato, ma non era stato considerato tale nel caso di specie, relativo al licenziamento del dirigente di una Camera di Commercio dell’Emilia-Romagna, come testimoniato dal fatto che, sia in primo, che in secondo grado, lo stesso era stato inopinatamente rigettato dai giudici di merito. Questi ultimi avevano infatti entrambi ritenuto che nell’ordinamento delle Camere di Commercio, così come previsto dalla L. n. 580/1993 nella formulazione applicabile ratione temporis tenuto conto della data del licenziamento (avvenuto nel 2004), la Giunta camerale dovesse ancora considerarsi – nonostante la distinzione tra “politica” e “amministrazione” informasse il sistema generale dell’amministrazione pubblica sin dalla “riforma Amato” di cui al D.lgs. n. 29/1993 – un “organo di esecuzione” e non invece un organo di “indirizzo politico-amministrativo, cui dunque potevano legittimamente spettare i poteri connessi all’emanazione di provvedimenti concernenti l’assunzione e la carriera del personale, dirigenti compresi. Con la pronuncia in questione, invece, la Cassazione, per quanto ad ormai undici anni dal licenziamento contestato, rende finalmente giustizia al dirigente camerale che si era rivolto allo Studio Legale RFA per presentare ricorso di legittimità contro la sentenza di appello, accogliendo le tesi sostenute da L. Righi e I. Di Passio e risolvendo a favore della parte da essi assistita la questione che, nei termini indicati, la stessa Corte riconosce essere “nuova per la [sua] giurisprudenza“. In particolare,  i Giudici di legittimità smentiscono l’interpretazione sostenuta dalla controparte pubblica circa la presunta “specialità” dell’ordinamento delle Camere di Commercio secondo la L. n. 580/1993, osservando preliminarmente che le stesse sono “comprese tra le amministrazioni pubbliche dal d.lgs. n. 29/1993 (Cass.  8.5.2006, n. 10437; Cass. 17.5.2006, n. 11519; Cass. 9.2.2009, n. 3189)“. In secondo luogo, che lo stesso art. 19 della L. n. 580/1993 stabilisce, fin dalla sua originaria versione, l’assoggettamento del personale camerale alle “disposizioni previste dalla L. 23.10.1992, n. 421 e D.lgs. 3.2.1993, n. 29″, essendo oltre tutto quest’ultima normativa ad “efficacia rinforzata“, in quanto contenente, anche secondo la Corte Costituzionale, “norme fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica“. Da ciò si deriva che la disposizione, pur contenuta nella stessa L. n. 580/1993 (art. 14, comma 5, lett. a), la quale, all’epoca dei fatti, attribuiva alla Giunta camerale la competenza per i provvedimenti inerenti “l’assunzione e la carriera del personale“, da un lato, deve considerarsi “recessiva“; dall’altro, “implicitamente abrogata, dato che si pone in contraddizione con il D.lgs. n. 29/1993″ e con l’art. 19 della stessa legge 580/1993 nella parte in cui – come detto- dichiara applicabili al personale camerale le disposizioni del D.lgs. n. 29.  Normativa a partire dalla quale, anche a prescindere dalle successive “accentuazioni” contenute nel successivo D.lgs. n. 80/1998 (c.d. “riforma Bassanini”), deve considerarsi “operante nel nostro ordinamento … la distinzione tra compiti di indirizzo e compiti di gestione degli enti pubblici” che non consente di affidare ad un organo a composizione “politico-rappresentativa” come la Giunta camerale il potere disciplinare nei confronti dei dipendenti, sia pur anche (ed anzi a maggior ragione se) di qualifica dirigenziale.

Accogliendo tale principio, sulla cui base si fondava il primo motivo del ricorso, la Cassazione ha “assorbito” i restanti motivi di legittimità che involgevano peraltro questioni altrettanto interessanti (come ad esempio quella inerente i limiti di applicazione del parere del Comitato dei Garanti nel caso di licenziamento del dirigente, o quella inerente la “natura” del licenziamento che era stato nel caso irrogato “solo apparentemente” per motivi “disciplinari”, ma che, secondo il ricorso, nascondeva in realtà l’intento di “liberarsi” di un dirigente “poco gradito” proprio all’organo politico), i quali dunque non sono stati esaminati. La Suprema Corte ha comunque dichiarato la radicale “nullità” del licenziamento irrogato, disponendo il rinvio al Giudice d’appello, in diversa composizione, al fine di determinare il risarcimento del danno – sia patrimoniale, che non patrimoniale – spettante al dirigente illegittimamente licenziato. (L.R.)