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Niente onorari (neanche per il primo grado) per l’avvocato che redige un appello nullo

Tribunale di Lucca, sentenza 11 luglio 2018, n. 1129 (caso patrocinato da L. Righi e N. Felli)
Niente onorari (neanche per il primo grado) per l’avvocato che redige un appello nullo
Tribunale di Lucca, sentenza 11 luglio 2018, n. 1129 (caso patrocinato da L. Righi e N. Felli) 

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L’avvocato che redige un atto di appello che viene dichiarato <nullo> non ha diritto ad alcun compenso non solo per l’attività svolta nel giudizio di appello, ma neppure per quella svolta in primo grado. L’interessante principio è stato sancito dal Tribunale di Lucca, in accoglimento delle tesi sostenute dagli Avv. Luca Righi e Nicoletta Felli dello Studio RFA per dei clienti stranieri che erano stati convenuti in giudizio da un legale che li aveva seguiti in un giudizio civile ed aveva agito nei confronti dei medesimi per ottenere il pagamento dei relativi compensi, il cui importo era stato contestato. Il giudizio per il quale il legale richiedeva i compensi in discussione, relativo ad indennità di occupazione di un terreno dovuta da un Comune agli interessati, si era concluso in appello dopo che l’impugnazione dal medesimo proposta era stata rigettata ed anzi dichiarata “nulla” per difetto di specificazioni dei “motivi” ex art. 342 c.p.c.. Ciò in ragione del fatto che il legale si era limitato a meramente riprodurre nell’atto di appello il contenuto delle difese di primo grado, senza tuttavia formulare alcuna specifica censura contro la sentenza appellata, in particolare in relazione al motivo che ne aveva determinato l’esito, ovvero l’asserita <prescrizione> del diritto fatto valere. Il Tribunale di Lucca ha statuito che l’attività professionale svolta dal legale fosse dunque caratterizzata, a fronte della presentazione di un appello “nullo” e come tale dichiarato “inammissibile” dalla Corte di appello da grave negligenza professionale, tale da integrare un inadempimento contrattuale che, in applicazione del principio di cui all’art. 1460, determina la perdita del diritto al compenso, laddove – come nel caso di specie – la negligenza sia stata tale da incidere sugli interessi del cliente. Se ciò vale per l’attività svolta ai fini dell’appello “nullo”, peraltro, in un caso del genere l’errore professionale produce la conseguenza di rendere del tutto inutile anche l’attività professionale svolta per il primo grado in quanto finalizzata a tutelare il diritto fatto valere in giudizio dal cliente, che quindi non deve essere pagata. Come statuito anche dalla Cassazione con riferimento al caso della mancata proposizione tempestiva di un’impugnazione (certamente assimilabile alla proposizione di un appello “inammissibile” perché “nullo”),  l’errore compiuto ha posto il professionista in una condizione per cui “la sua prestazione, che egli era stato chiamato a svolgere per l’assicurazione della detta tutela, si doveva ritenere totalmente inadempiuta, perché risultava non aver prodotto alcun effetto a favore del cliente e ciò sia dal punto di vista del risultato, se l’obbligazione dedotta nel contratto di prestazione di opera si considerasse di risultato per la non eccessiva difficoltà della vicenda nella quale si è concretato l’errore, sia dal punto di vista della prestazione del mezzo della propria prestazione d’opera, se la si considerasse come obbligazione di mezzi” (Cass. civ. sez. III, 26.2.2013, n. 4781). (L.R.)