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La divisione in lotti dell’appalto va contestata impugnando il bando e il “vincolo di aggiudicazione” è una facoltà discrezionale, non un obbligo

Consiglio di Stato, sez. III, 9 giugno 2020, n. 3684 (caso patrocinato da L. Righi)

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La modalità con la quale la stazione appaltante effettua la divisione in lotti di un appalto di rilevanti dimensioni, prevista dall’art. 51 del Codice degli Appalti, perché, in quanto volta a contestare sin dal principio l’oggetto e l’articolazione della gara, deve essere proposta con la tempestiva impugnazione del bando (Cons. St., Ad. plen., 27 aprile 2018, n. 4) e non già dopo avere atteso l’esito della gara, in sede di impugnazione dell’aggiudicazione definitiva. In applicazione di questo principio, il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza di prime cure del Tar Toscana, concludendo in senso favorevole al Consorzio aggiudicatario, cliente dello Studio RFA un giudizio assai articolato e complesso, avente ad oggetto l’affidamento al medesimo Consorzio di tutti e tre i lotti nei quali era stato suddiviso un appalto di servizi nel settore sanitario di importo complessivo superiore ai 30 milioni di Euro. Il ricorrente, terzo classificatosi nella graduatoria finale dei tre lotti, oltre a proporre una serie di altre censure inerenti la valutazione delle offerte, aveva tra l’altro contestato, impugnando l’aggiudicazione, proprio il fatto che l’appalto fosse stato suddiviso in “soli” tre lotti, comunque anche singolarmente ciascuno di assai rilevante dimensione, senza oltre tutto prevedere alcun “vincolo di aggiudicazione”. Quest’ultimo avrebbe dovuto impedire ad un medesimo concorrente che si fosse aggiudicato uno dei lotti, di poter conseguire l’aggiudicazione anche degli altri. Ciò che avrebbe di fatto prodotto un effetto distorsivo della concorrenza a beneficio di un unico operatore economico e a discapito degli altri operatori nel mercato di riferimento, nonché a discapito dell’interesse pubblico alla più ampia partecipazione e ad un sano confronto concorrenziale tra le imprese. Oltre a dichiarare la censura irricevibile, la sentenza l’ha comunque respinta anche nel merito. In particolare, infatti, il c.d. “vincolo di aggiudicazione” e la decisione di limitare l’aggiudicazione di tutti i lotti allo stesso concorrente, come ha del resto chiarito anche precedente giurisprudenza della stessa Sezione (v. sent. n. 1489 del 4 marzo 2019 e anche Cons. St., sez. III, 7 maggio 2020, n. 2881), costituisce una facoltà discrezionale dell’amministrazione ai sensi dell’art. 51, comma 3 del Codice degli Appalti, il cui mancato esercizio non costituisce ex se sintomo di illegittimità.  Tanto più che la sua mancanza non aveva impedito allo stesso ricorrente di partecipare alla gara e presentare la propria offerta liberamente in tutti e tre lotti, puntando ad aggiudicarseli. Né d’altronde l’assenza del predetto vincolo determina in sé alcuna violazione della concorrenza.  E’ invece necessario verificare se altri aspetti della strutturazione della gara – nel caso insussistenti – siano tali da far sì che la sua apparente suddivisione in lotti, per le caratteristiche stesse di questi o in base al complesso delle previsioni della lex specialis, abbia favorito in modo indebito taluno dei concorrenti e gli abbia consentito di acquisire l’esclusiva nell’aggiudicazione dei lotti. Per converso, anche il vincolo dell’aggiudicazione potrebbe propiziare strategie antinconcorrenziali e intese illecite tra i singoli concorrenti, tese a favorire la spartizione dei singoli lotti messi a gara. Per cui, l’argomento dell’appellante, secondo cui la sua previsione avrebbe evitato un monopolio o un accentramento del potere economico in capo ad un solo operatore, prova troppo perché detto accentramento viene realizzato vieppiù in alcuni settori di mercato, ormai, attraverso le intese restrittive della concorrenza e la spartizione sottobanco dei lotti, non aggiudicabili tutti ad un singolo operatore. (LR)